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Cena di Gala “Un ponte di musica” 22 agosto 2022

E’ con grande piacere che Vi invitiamo alla Cena di Gala “Un ponte di musica”, a sostegno dell’attività di Musicoterapia nelle Cure Palliative che si terrà lunedì 22 agosto 2022 alle ore 20 presso il Ponte Lodovico di San Donà di Trento*, organizzata in collaborazione con APSP Margherita Grazioli,  Comitato di quartiere di San Donà e Associazione Amici della Fondazione Hospice.

Il ricavato dell’iniziativa andrà a sostenere l’attività di Musicoterapia nelle Cure Palliative a Casa Hospice Cima Verde, nella RSA Margherita Grazioli di Povo e nelle Cure Palliative domiciliari. I posti disponibili sono limitati e  saranno assegnati in ordine cronologico di prenotazione da effettuare al seguente link: https://forms.gle/MijoC1Bo61LUKjz3A.

Per la cena è richiesto un contributo minimo di € 50 a persona, da versare entro il 16 agosto sul c/c dedicato intestato a Fondazione Hospice Trentino Onlus IT40P0830401801000000384959 con causale: Cena di Gala Musicoterapia. Seguirà conferma di avvenuta prenotazione.

Il Menù sarà curato dallo Chef stellato Vinicio Tenni e la serata sarà accompagnata da interventi musicali.

Si consiglia di fruire del parcheggio gentilmente concesso per la serata dalla Pizzeria Korallo sito in via Venezia.

Per qualsiasi altra informazione potete contattare il Direttore Stefano Bertoldi, referente dell’iniziativa, all’indirizzo email  direttore@fondazionehospicetn.it.

Confidando nella Vostra generosa partecipazione, porgo cordiali saluti

La Presidente

Laura Froner

Interventi delle sorelle Gabriella e Francesca Vergine alla Cerimonia di consegna Premio Ada Magda Vergine 1° edizione 17 giugno 2022

Buon giorno a tutti a conclusione di questo incontro e prima della premiazione della tesi di laurea della dott. Perini nell’ambito delle cure palliative, è doveroso da parte nostra esprimere i pensieri e le motivazioni che ci hanno condotti fin qui.

Siamo molto contente di trovarci in questo luogo a fare una cosa per Ada da e con Ada, la consegna del premio nazionale di Tesi di Laurea in Medicina alla dottoressa Lidia Perini, e per esprimere vivo apprezzamento anche per la tesi della dottoressa Martina Cacciapuoti.

Fare una cosa con Ada, perché dico così? E’ sempre stata nostra cara abitudine quella di discutere e di stimolarci nelle riflessioni, fra noi ma anche con amici, nostra cara abitudine quella di esprimere la riconoscenza e ringraziare, ed onorare gli amici, e in questa sede, l’Hospice Cima Verde, che ci ha accolte tutte e tre negli ultimi giorni di vita di Ada, possiamo ringraziare, esprimere la riconoscenza per la Fondazione ed onorare gli amici di Ada, sapendo di farlo tutte e tre. Altro motivo di sentirci con Ada nasce dal suo impegno come tutor per i giovani medici nell’ambito della SIMG: il premio per una tesi di laurea in Medicina volto a promuovere la ricerca e la conoscenza delle problematiche delle cure palliative è senz’altro accompagnato dal suo sorriso di soddisfazione.

Condividiamo con voi alcune riflessioni che l’esperienza della malattia di nostra sorella ha comportato.

Ci sono, nella vita, degli eventi che rappresentano un varco in cui ci si addentra e oltre il quale tutto cambia. A volte ci si ritrova lì senza aver visto nulla di chiaro ed evidente: né una porta, né un arco, né altro che preavverta di un passaggio; altre volte, invece, se ne ha una consapevolezza chiara, si percepisce una soglia: avviene così per la diagnosi di una malattia grave. Cambiano molte cose oppure cambia tutto. C’è una fase, diciamo così, di lotta: ammalato, medici, infermieri, familiari ed amici sono tutti uniti per combattere la malattia o per contenerla, se la diagnosi comporta una prognosi infausta. Il cammino è più o meno lungo ma arriva il momento in cui si avvicina la morte. Ci si può fermare aspettando l’inevitabile o si può continuare a vivere e far vivere.

Oggi ci troviamo in un luogo privilegiato, qui siamo con persone il cui motto è “finché c’è vita, diamo dignità alla vita”. Non succede così dappertutto. Dove i servizi di Cure Palliative sono insufficienti, terminate le cure specialistiche si apre il vuoto e si produce uno scarto. Di fatto sembra che il paziente terminale non abbia più necessità di cura ma solo di una pietosa assistenza nel suo mondo privato col suo medico curante e le persone care o di un’attesa in un reparto ospedaliero. Insomma la medicina combattente – chiamiamola così – dichiara di non poter fare più nulla. Ma c’è una disciplina di cure complesse per i malati terminali, che ne analizza i bisogni fisici, psicologici, relazionali e spirituali, li riconosce e dà le risposte che servono. Si può dire che non c’è nulla da fare? Perché il mondo delle cure palliative è così poco conosciuto? Perché è sottovalutato? E’ lo stigma derivante dalla scotomizzazione della morte? In buona parte sì, ma è anche l’effetto dello stigma che deriva dal constatare l’impotenza della medicina, prima idealizzata come onnipotente. Lo stigma sulla fase terminale si propaga, perché, come il disonore, non resta confinato su chi lo subisce; anche il contesto, il contenitore e chi vi opera restano in quell’ombra.

La ricca realtà delle Cure Palliative è ancora troppo poco conosciuta, per la maggior parte della gente resta un mondo nascosto sotto quel pallio che nell’immaginario collettivo ricopre come un sudario anticipato lo scandalo della morte, della sconfitta.

Nessuno può togliersi da solo uno stigma, ma può farsi conoscere. La Fondazione Hospice ha da sempre tradizione di ricerca e si impegna con molte iniziative anche per raggiungere la cittadinanza promuovendo la cultura e l’informazione circa le problematiche relative alle cure palliative. Il nostro contributo per il raggiungimento di questo scopo che condividiamo con convinzione è stato quello di istituire un premio per una tesi di laurea in Medicina. L’interesse precoce per le Cure palliative, la ricerca e la conoscenza di questa disciplina di cure complesse per il malato terminale nel periodo di formazione dei medici può generare un “erosione” dello stigma e un riconoscimento del valore di questa disciplina. Se non più svalutate ma considerate nel loro valore le Cure Palliative, il cui cuore è il prendersi cura della persona ammalata, (cura che la ricerca declina su piani concreti, verificabili, trasmissibili) gioverà anche indirettamente ad altri ambiti, come modello di individuazione di bisogni che a volte restano in ombra.

Ringraziamo la Fondazione Trentino Hospice Onlus per la collaborazione fornitaci per questa iniziativa e garantitaci anche per la seconda edizione del premio Ada Magda Vergine. Riteniamo che anche l’istituzione da parte della Fondazione di un premio analogo per una tesi di laurea infermieristica come riconoscimento dell’importanza del ruolo dell’infermiere, contribuisca a stimolare l’interesse per le cure palliative. Facciamo vive congratulazioni ed auguri alla dottoressa Perini.

Gabriella Vergine


 

Come ha detto Gabri questo premio è stato voluto fortemente dalla mia famiglia fin dalla morte di Ada ma le circostanze hanno voluto che passasse un po’ di tempo, quattro anni, prima di arrivare alla meta. Scuserete quindi la mia commozione che è grande. Grazie al grande lavoro dell’Hospice Cima Verde e della dott. Rocchetti in particolare, ci siamo riusciti. Noi speriamo che sia possibile realizzare altre tappe di quello che consideriamo un percorso, con andamento annuale, di continuazione di un lavoro, quello di Ada e quello dell’Hospice, in questa direzione. Vedremo cosa saremo capaci di fare.
Innanzitutto vorrei dire che, pensando alla giornata di oggi, 17 giugno 2022, mi ha colpito accorgermi che la scelta della data, dovuta alla ricerca di una convergenza di disponibilità di molte persone, sia coincisa con quella del primo giorno di consapevolezza della malattia di Ada nel 2017: caso o provvidenza, questo dato condiziona le brevi riflessioni che vorrei condividere con voi. Infatti dal 17 giugno 2017 la nostra vita con Ada fino alla sua morte, il 7 febbraio 2018, è stata divisa tra due poli fondamentali: come aiutare Ada nella sua malattia e come aiutare Ada a continuare, per quello che poteva, a “mettere in sicurezza”, così lei diceva, i suoi pazienti. E’ stato molto difficile e per me, che sono un architetto, estranea cioè ad una formazione specifica in tal senso, ha significato scoprire tante cose.

Innanzitutto un volto di Ada. Non che non conoscessi la sua appassionata dedizione ma, appunto, per me era una dedizione di una professionista seria, secondo i dettami della educazione ricevuta e che noi abbiamo cercato di coniugare ognuna nella propria realtà. Poi ho scoperto la realtà verso cui era rivolta questa dedizione; anche qui, sapevo che era molto amata e anche apprezzata. Le mie figlie la prendevano in giro perché, dicevano che non si poteva andare a fare una passeggiata in città senza essere fermate da qualcuno che doveva parlare o salutare la dottoressa. Sapevo anche quanto si arrovellasse per alcuni casi e come cercasse di essere presente ai suoi pazienti; questo lo ha fatto fino alla fine. Nuovamente un modo di fare professione, di fare il medico, lodevole e riconosciuto ma anche attuato da molti suoi colleghi: i bravi medici.
Poi c’è stata l’esperienza di Ada, un medico che diventa paziente. Permettetemi questo inciso: Ada è stata meravigliosa perché è stata molto rispettosa dei medici che ha incontrato facendo la paziente, così come pretendeva ed insegnava che si dovesse essere, e rimanendo medico fino all’ultimo istante, nella lettura dei suoi sintomi, delle sue reazioni ai
farmaci, nelle sue riflessioni sul suo quadro clinico, nella sua volontà e competenza nel prepararci a quello che stava avvenendo.
Vorrei spiegarmi però su un punto che ritengo fondamentale. Uno ha un problema di salute e va dal medico nella speranza di essere guarito o di ricevere delle prestazioni mediche: si trova nella condizione di essere un paziente. Se il rapporto, il famoso rapporto MEDICO-PAZIENTE, non si limita alla modalità self service (prescrivimi la medicina, misurami la pressione, mandami dallo specialista – modalità che Ada non consentiva molto – oppure nella modalità (permettetemi l’espressione) “autistica”: lo opero, controllo il tuo decorso e basta), se quindi non si va dal medico come si va al supermercato o sulla luna, si instaura un rapporto di cura. Curare è più importante: non sempre si può guarire. Curare è prendersi cura, PRENDERSI A CUORE, farsi carico. Ed ecco che il rapporto diventa un cammino. Mi approprio di parole non mie, e scusate se non sciolgo la citazione, “strada facendo si instaura una comunicazione che non si argomenta, ma si diffonde prevalentemente con la vita, con la propria vita, con il proprio camminare insieme condividendo” (Fausti).
Tornando alla nostra esperienza, quando Ada si è ammalata Loretta, la dott. Rocchetti, ci ha telefonato per chiederci come volevamo regolarci, cosa avremmo voluto fare e offrendoci, con molta delicatezza, oh quanta delicatezza!!, la possibilità di prendersi cura di Ada all’hospice di Trento. Noi però avevamo bisogno ancora di fare tanta strada e io risposi ringraziando ma dicendo che volevamo averla con noi, in casa, il più possibile. Mi sosteneva l’orgoglio di aver accompagnato, insieme alle mie sorelle, tutti i nostri vecchi fino alle soglie della vita, così come avevamo visto fare dalle nostre zie-mamme nei confronti della nostra nonna materna (mamma era morta che io avevo un anno e mezzo e le zie paterne hanno cresciuto noi e curato anche la nostra nonna) e come avevamo fatto con nostro padre, morto anche lui della stessa malattia di Ada proprio 40 anni prima, e poi con le nostre zie e i miei suoceri. Insomma LA FAMIGLIA, in FAMIGLIA. E così abbiamo fatto con Ada con alcuni intermezzi ovvi. Mi riferisco al tentativo di intervento chirurgico.
Sorvolo, per misericordia, sull’esperienze negative che Ada ha affrontato con molta magnanimità, per rappresentarvi un’esperienza che certamente è di molti. Quando è stato impossibile tenerla a casa Ada è stata ricoverata. La abbiamo portata all’ospedale di Mirano dove è stata curata con molta competenza e amore.
Uso volutamente questo termine, che di solito si usa per rapporti intimi e sembra mal coniugarsi con ambiti istituzionali. Ma cosa c’è se non amore? per il proprio lavoro, per i propri pazienti, per quello in cui si crede. Quindi lasciatemi usare questa parola: AMORE. Noi abbiamo scritto un encomio; era doveroso. Abbiamo l’occasione di rinnovarlo oggi al dott. Azzarello, primario dell’unità oncologica di Mirano, qui presente e che fa parte della giuria del premio.
E poi ci sono stati gli ultimi giorni.
Mio marito, e gliene sono infinitamente grata, facendo mirabile uso di una sua insospettabile prerogativa, mi ha illuminata suggerendoci di portarla a Trento. Riportarla a Trento dovrei dire. Per Ada è stata una gioia immensa; per noi una inaspettata accoglienza in un mare di affetto. Sette giorni di ininterrotte visite dal mattino presto fino a tarda sera. Anche a Mira Ada ha ricevuto continue visite, tantissima gente é venuta da molte parti, ma qui a Trento amici e pazienti hanno accettato di fare la fila per salutarla. In continuazione ci siamo sentite dire, anche negli interminabili giorni di sosta in obitorio, anche dopo il funerale: ora come farò senza Ada? Ora come farò senza la dottoressa?
Lei mi diceva… lei mi ha fatto…. Lei …
Ma allora, questo é il punto, siamo qui a ricordare, a compiangere a celebrare? No, il motivo di questo incontro è un altro: noi siamo qui, io credo, a riconoscerci tutti, ognuno con la sua esperienza personale o professionale in una scelta di vita e di relazione, che non si esaurisce nel mestiere di medico, siamo qui a dire che Ada aveva scelto la strada giusta. Ada è stata fermata, ma la strada la precedeva e continua e come su ogni buon cammino in tanti si va. Ma è importante riconoscersi, affermarlo, potenziare il cammino, crederci e condividerlo. E’ necessario coniugare tutti gli aspetti scientifici, professionali, umani e soprattutto trasmetterli e promuovere la formazione.
Ho lasciato in chiusura i ringraziamenti perché non fossero considerati una forma di inizio formale di discorso.
Il GRAZIE è un atto dovuto, non è una forma di educazione o una formalità. E quindi grazie Ada, grazie dott. Azzarello, grazie Loretta, grazie Hospice, grazie dott. Perini. Grazie a tutti voi.

Francesca Vergine

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La valutazione della qualità del servizio di Casa Hospice Cima Verde

Nella pratica clinica quotidiana la valutazione della qualità del servizio prestato si è storicamente basata su vari parametri che nel tempo sono stati adottati. Ad esempio, in un ospedale per acuti gli elementi principali su cui basare il giudizio saranno il tasso di guarigione, i tempi di degenza, il numero di errori e quasi errori, gli aspetti di tipo alberghiero ecc…; in un ambiente di lungo degenza (ad esempio una RSA-APSP) avrà importanza il numero delle cadute accidentali, il tasso di infezioni legate all’assistenza (infezioni dei cateteri), il numero di pazienti con lesioni da pressione (“ulcere da decubito”). I parametri su cui misurare la qualità in questi ambienti sono variati nel corso degli ultimi cinquant’anni e sono principalmente basati su:

  • Valutazione degli elementi strutturali e organizzativi (funzionalità, sicurezza e comfort degli ambienti ove si svolge l’attività, dotazione di tecnologie sanitarie, dotazione di personale, competenze professionali, sistemi di controllo degli eventi avversi (incident reporting, sistemi di analisi degli errori);
  • Valutazione dei processi clinico-assistenziali: linee guida, protocolli e percorsi di diagnosi e cura;
  • Numerosità e qualità dei contenziosi tra l’organizzazione e gli utenti;
  • Segnalazioni da parte dei cittadini di disservizi, comportamenti non adeguati, errori …

Come si nota in tutti queste modalità di valutazione della qualità il ruolo dei pazienti e dei cittadini che hanno bisogno delle prestazioni del servizio è marginale e la qualità del servizio è valutata soprattutto con indicatori che sono sì molto forti ma che purtroppo non sempre sono idonei a dare un quadro realistico delle varie situazioni (guarigione verso peggioramento o morte, tempi di attesa, durata dei ricoveri, …).

Questo problema è ancora più evidente nello specifico ambito delle cure palliative dove il principale elemento di giudizio (la guarigione della malattia) è per definizione escluso trattandosi di persone che soffrono di patologie croniche non guaribili e che per di più sono giunte a un tale livello di progressione di malattia da rendere necessarie cure orientate all’alleviamento dei sintomi e non al prolungamento della sopravvivenza come primo obiettivo. Queste caratteristiche si accentuano ulteriormente se riferite alle attività di assistenza prestate nell’ambito degli hospice dove il paziente giunge nelle ultime settimane o giorni di vita. Infatti, se osserviamo la situazione italiana la media di degenza negli hospice varia tra i 15 e i 20 giorni (Cima Verde 17,8), con tassi di pazienti con degenza inferiore a una settimana che fluttuano tra il 30% e il 40% (Cima Verde 37,4%). Tuttavia, è proprio in questo momento delicato della vita delle persone che la qualità dei servizi a loro dedicati è maggiormente importante visto che si tratta di soggetti quasi sempre dipendenti anche nelle più semplici attività della vita quotidiana e spesso impreparati ad affrontare i disagi, anche psicoemotivi, di questo delicato periodo di vita. Inoltre, i pazienti sono spesso talmente prostrati dalla malattia da non essere più in grado di esprimere un qualsivoglia giudizio sui servizi prestati fosse anche una valutazione positiva, essi sono talmente dipendenti dall’assistenza da essere comunque fortemente condizionati nei giudizi. 

Proprio per tale motivo, risulta necessario dar voce a un loro eventuale feedback sia esso di soddisfazione o di disapprovazione. Nel corso degli ultimi decenni anche e soprattutto nel contesto delle cure palliative si è cercato di sviluppare criteri e strumenti di valutazione della qualità assistenziale percepita che si potessero applicare efficacemente alle varie situazioni in cui il paziente vive l’ultima fase della sua malattia (ospedale, cure domiciliari, hospice) e che fossero comprensibili e utilizzabili dai pazienti, dai loro parenti e caregiver e dagli operatori sanitari (fisioterapisti, infermieri, medici, OSS, psicologi, …). Questi strumenti di indagine hanno subito varie modifiche nel corso del tempo, sono stati sperimentati da vari gruppi di ricerca clinica e infine sono stati validati per varie realtà culturali e linguistiche.

Presso la struttura hospice “Cima Verde” si raccolgono le impressioni sulla qualità del servizio dai caregiver dei pazienti deceduti in struttura, questa valutazione viene richiesta a due mesi dall’evento luttuoso e consta nella compilazione di un questionario anonimo via web o cartaceo (a scelta del caregiver), i risultati del primo anno di valutazioni sono stati presentati in un convegno pubblico il 3 dicembre 2021. La valutazione del percorso di cura di questi pazienti viene fatta anche dagli operatori sanitari che, al decesso del paziente, compilano una scheda di “valutazione della qualità di morte”, in queste schede, compilate fin dall’apertura dell’hospice (2017), sono riportate spesso le parole dei pazienti stessi e le loro percezioni e sentimenti rispetto alla malattia e al servizio ottenuto, (si tratta comunque sempre di una valutazione filtrata dagli operatori) ed il vissuto del personale sanitario durante l’assistenza nel fine vita. La valutazione di un servizio alla persona non può ovviamente mancare del parere del soggetto cui l’assistenza viene prestata. Per questo motivo il comitato scientifico dell’hospice Cima Verde ha proposto un percorso di implementazione di strumenti atti a valutare la qualità del servizio che comprendesse tutti i momenti e i protagonisti delle attività svolte all’interno della struttura, la proposta è stata fatta propria dal consiglio di amministrazione e, al completamento della parte riguardante i caregiver si è passati alla scelta dello strumento idoneo alla valutazione da parte dei pazienti ospiti della struttura.

Come primo approccio al problema è stato introdotto un sistema di raccolta, sistematizzazione e catalogazione dei racconti dei pazienti a chi si prende cura di loro, senza distinzione fra le varie professionalità o categorie, questo tipo di valutazione basato sulla “medicina narrativa” è stato affidato alla psicologa che lavora in hospice e procede tuttora non senza difficoltà.

A questo metodo si è infine deciso, su convinto stimolo da parte degli stessi operatori, di affiancare uno strumento strutturato e validato in campo nazionale e internazionale. Lo strumento in questione è l’Integrated Palliative care Output Scale (IPOS). Questo metodo di valutazione coinvolge direttamente i pazienti durante il ricovero in hospice o l’assistenza a domicilio e valorizza l’apporto conoscitivo sia dei caregiver che degli operatori, è stato scelto dalla comunità scientifica italiana tanto che la Società Italiana di Cure Palliative (SICP) ne raccomanda l’adozione su tutto il territorio nazionale. Il gruppo italiano che ha tradotto e validato l’IPOS per l’Italia fa capo alla Fondazione “F.A.R.O” di Torino ed è presieduto dal dottor Simone Veronese che ha anche sviluppato un complesso progetto accreditato di formazione d’aula e sul campo, che coinvolge le diverse figure professionali dell’équipe. Fondazione Hospice Trentino ONLUS si è fatta promotrice della formazione in questo specifico settore e ha coinvolto gli hospice attualmente attivi in Regione (Hospice-APSS, Mori e Bolzano) con l’intento non secondario di creare e di rendere sempre più forte e operativa la collaborazione fra i vari nodi della rete delle cure palliative a livello locale. Grazie all’attività della nostra Coordinatrice delle professioni sanitarie Gessica Mazzucco, alla collaborazione delle sue colleghe dei vari hospice coinvolti e alla disponibilità del dottor Veronese si è quindi dato inizio al progetto formativo che ha visto la conclusione della prima parte il 15 giugno, nei prossimi mesi presso le strutture interessate si svolgerà il lavoro sul campo e fra 4 6 mesi ci si ritroverà insieme per valutare gli esiti e le difficoltà di questo lavoro. Solo dopo questa fase di formazione verrà presa la decisione sulla adottabilità e funzionalità dello strumento per i vari e diversi contesti di cura. In attesa dell’esito del percorso di formazione del personale la posizione espressa dal comitato scientifico è di suggerire l’utilizzo combinato dei due metodi di rilevazione (medicina narrativa e IPOS) che utilizzati in parallelo dovrebbero permetterci di esplorare un orizzonte più ampio e completo della percezione della qualità dell’assistenza ricevuta.

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Premio Ada Magda Vergine. Premiata la tesi “Cure palliative: una complessità di cura sottovalutata. Caratteristiche cliniche e funzionali delle persone ricoverate in hospice” della dottoressa Lidia Perini

Si pubblica di seguito l’abstract della tesi “Cure palliative: una complessità di cura sottovalutata. Caratteristiche cliniche e funzionali delle persone ricoverate in hospice” della dottoressa Lidia Perini”

Le cure palliative prevedono una presa in carico multidisciplinare della persona malata e della sua famiglia, indirizzata a pazienti con e senza neoplasia. Il setting dell’hospice è poco esplorato ed oggetto di preconcetti. Gli obiettivi di questo lavoro sono stati far emergere la complessità di cura di cui hanno bisogno i pazienti da cure palliative ed oggettivizzare l’attività svolta in pratica clinica all’interno dell’Hospice Cascina Brandezzata di Milano, dove sono state analizzate le cartelle cliniche di 114 pazienti (61♂;53♀) dimessi o deceduti dal 1/01 al 31/05/2021.
Dai risultati è emersa un’età media di 77 anni ± 14 (minima di 31; massima di 105). Il 22,8% dei pazienti proveniva dal Pronto Soccorso. L’11,6% dei pazienti è giunto in hospice in coma e il 17,9% in stato soporoso, impedendone un’adeguata presa in carico. Quasi il 30% dei pazienti non presentava nessuna consapevolezza circa la propria condizione; il 43% era consapevole solo di diagnosi, ma non di prognosi e terminalità. La durata della degenza non è risultata correlata all’età al modello di Spearman (r=0,014; p=0,879). All’ingresso in hospice in media è stato tolto ai pazienti un farmaco (–0,92 ± 3,04), con sospensione della terapia antibiotica nel 32,3% dei casi in cui era stata prescritta. Solo il 4,4% dei pazienti è stato sedato. Il 67,7% dei ricoveri si è realizzato per necessità; l’esigibilità del consenso si è dimostrata associata con l’età (OR=0,962; p=0,010), con la presenza di neoplasia (OR=16,072; p=0,011) e con lo stato funzionale del paziente (OR=1,123; p=0,001). I pazienti oncologici erano più giovani (età media 73 vs 85; p<0,001), meno compromessi (KPS 25 vs 17; p<0,001) e con degenze mediamente più lunghe (14,6 gg vs 10,4 gg; p=0,260). Ciò e quanto emerso circa il consenso suggeriscono una presa in carico più precoce rispetto ai pazienti non oncologici (30,4% del totale). Il sintomo “dolore” non differisce significativamente all’ingresso in hospice, ma i pazienti non oncologici nel setting precedente venivano trattati con oppioidi forti in percentuali inferiori in modo statisticamente significativo (23,5% vs 46,8%; p=0,021); tale differenza scompare all’arrivo in hospice (38,2% vs 46,2%; p=0,437).
In conclusione, la popolazione afferente al servizio di cure palliative dell’hospice è eterogenea per età, durata della degenza e condizioni cliniche. È auspicabile che il servizio di cure palliative sia attivato più precocemente nella storia di malattia dei pazienti, così da permettere loro maggior consapevolezza e l’esigibilità del consenso al ricovero. I pazienti da cure palliative presentano bisogni di cura specifici, tali da rendere sproporzionate terapie invece indicate in altri contesti. Per i pazienti non oncologici è emerso un sotto-trattamento del dolore ed un arrivo più tardivo in hospice, che, a causa del ritardo, impedisce anche in questo setting un’appropriata presa in carico. Saranno necessari ulteriori studi su più larga scala per confermare tali risultati.

Trovate la presentazione della tesi esposta al seguente link pdf presentazione tesi dottoressa Perini

Tappa trentina del GIRO D’ITALIA DELLE CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE

Nel mondo sono 22 milioni e in Italia 30.000 i minori (0-17 anni) che hanno bisogno di Cure Palliative Pediatriche (CPP).

Le Cure Palliative Pediatriche non sono le cure del fine vita !

Si occupano dei bambini con malattie inguaribili che limitano e/o minacciano la vita, molte delle quali rare o senza diagnosi. L’approccio di cura prevede un’attenta analisi dei bisogni per rispondere alla sofferenza fisica (dolore ed altri sintomi), allo stato psico-emotivo, alle problematiche connesse alla sfera sociale, culturale e spirituale, puntando alla qualità di vita nel percorso, a volte molto lungo, che va dalla diagnosi di inguaribilità e irreversibilità fino alle fasi avanzate e terminali della malattia.

Le famiglie preoccupate dalle conseguenze, economiche, fisiche ed emotive di una diagnosi di inguaribilità, sono ulteriormente gravate dalle conseguenze che inevitabilmente impattano su tutto il nucleo:  aumento del tempo di assistenza  a discapito del tempo di lavoro, isolamento sociale, rischio di burnout dei genitori e disgregazione della famiglia.

Le Cure Palliative Pediatriche, specialmente laddove vi sia una precoce presa in carico del minore e della famiglia, consentono di migliorare la qualità di vita, ritrovare equilibrio e stabilità nella propria quotidianità e di convivere con la malattia anche per lunghi periodi in “buona salute” e con la consapevolezza di non essere lasciati soli.

In Trentino la Rete delle Cure Palliative Pediatriche in APSS è attiva da qualche anno e nel tempo è riuscita a raggiungere circa il  70 % dei minori eleggibili.

Nell’ambito della prima campagna nazionale di promozione della conoscenza delle Cure Palliative Pediatriche (CPP) domenica 19 giugno è stata organizzata la Tappa Trentina del Giro d’Italia delle Cure Palliative Pediatriche.

Grazie al supporto organizzativo di Fondazione Hospice Trentino Onlus, Associazione Campo Base – Adventure therapy Onlus e UISP Trentino e con il patrocinio concesso da Provincia Autonoma di Trento, dal Comune di Trento, dalla Circoscrizione 11 e dall’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari è andato in scena un magico pomeriggio all’insegna del gioco e della spensierata allegria del Luna Park artigianale e dello sport per tutti, animato dalla musica trascinante ed irresistibile della BandaStorta. In serata i bambini sono rimasti con il fiato sospeso di fronte al funambolico spettacolo circense della Baracca Juke Box e hanno terminato la giornata pedalando senza sosta nel Ciclo Cinema allestito per l’occasione.

Un concentrato simbolico di quello che le Cure Palliative Pediatriche dovrebbero significare per i minori presi in carico. Giorno per giorno raggiungere la miglior qualità di vita possibile in quel momento, insieme alla propria famiglie, sostenuti dalla comunità, partecipi e coinvolti nelle attività dei coetanei.

              

 

Il Manifesto Italiano delle Cure Palliative Pediatriche illustrato durante un breve momento istituzionale è stato firmato dall’Assessore alla salute della PAT Stefania Segnana, dall’Assessora con delega in materia di bilancio, tributi, patrimonio, rapporti con le circoscrizioni, progetti europei, Mariachiara Franzoia, dal Presidente della Circoscrizione 11 Mariano Ferrari, dalla Direttrice per l’Integrazione Socio Sanitaria dell’APSS Elena Bravi, dal Presidente della Società Italiana di Cure Palliative Gino Gobber, dal Vicario generale don Marco Saiani e dall’Imam Aboulkheir Breigheche.